“L’ODORE DELLA POLVERE DA SPARO”


Oltre l’odore, nel grigio, una traccia di colore più acceso


di Davide Toffoli e Eleonora Mozziconi

L’odore della polvere da sparo” (Edizioni Spartaco, S. Maria Capua Vetere - CE 2015, collana Dissensi) è l’ultima fatica letteraria di Attilio Coco e si apre con una illuminante quanto preziosa citazione da “Utopia e disincanto” di Claudio Magris: “Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblìo le cancella dalla memoria del mondo; scrivere significa anche camminare lungo il fiume, risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate, ritrovare relitti impigliati alle rive e imbarcarli su una precaria Arca di Noè di carta”. Tuttavia, l’Arca predisposta dall’autore è, in questo caso, tutt’altro che precaria: ha difatti il raro pregio di regalare personaggi che restano indelebili nella nostra mente di lettori, anche dove potrebbero rischiare di apparire complessi ed intrisi di fortissima soggettività. Abbiamo a che fare con un intreccio delicatissimo di vite, di luoghi e di eventi, dove i singoli sembrano arrivare ad appartenersi, pur sfiorandosi soltanto. Siamo chiamati, assieme al narratore (a tessere le fila del racconto è infatti lo scrittore Pietro Mattei), a ricostruire la vita di Gianni Ceccante, affermato attore di teatro, rimettendo insieme le sue memorie e i suoi ricordi impressionistici legati agli incontri e agli eventi degli ultimi anni di Liceo a Potenza, accompagnandolo poi negli anni della svolta e dell’amore in una Capitale dalla bellezza mozzafiato, ma popolata di fantasmi e di sinistri spettri provenienti persino dal futuro, per terminare nella Torino della grande industria automobilistica e del boom economico a tutti i costi, dove comunque si riuscirà a respirare la possibilità di resistere ripartendo dall’anima più profonda e sincera dei singoli che torneranno ad incrociarsi nella quasi magica suggestione di un incontro, destinato ad eternarsi nella memoria. La forza ineluttabile del simbolo mi spinge a tirare in ballo quella foto del Grande Torino, stagione ’46-’47, più volte presente nei luoghi del libro, quasi a sottolineare il coesistere di tragedia e di sogni di rinascita  e di vittoria nella storia non solo dei singoli, ma di un intero Paese, sul quale incombe minacciosa e spietata una terribile malattia: il fascismo, il fascismo più profondo, il fascismo dell’anima che si adegua e rinuncia a ribellarsi e a reclamare la propria originalità e il proprio spazio. Il titolo potrebbe indurci a pensare ad un giallo, ad un noir, ad un libro di genere… “L’odore della polvere da sparo” è molto di più: è un’indagine umanissima nella Storia del nostro Paese e non solo, raccontata attraverso le quasi invisibili esistenze dei singoli (giovani, professori, ragazzi, professionisti, genitori…), evocata a volte in alcune delle sue pagine più crude ed oscure (i fatti di Potenza del 29 aprile 1947, quando la polizia spara sulla folla scesa in piazza per manifestare contro la fame e la disperazione che dilaga nelle campagne, la strage del Primo Maggio a Portella della Ginestra, i fatti di Piazza dello Statuto del 1962 a Torino, il ricordo della Guerra Civile Spagnola, l’evocazione quasi profetica delle tragiche vicende che animeranno l’Argentina di lì a poco…). Sono pagine che costringono a riflettere sulla scissione drammatica tra democrazia reale e democrazia formale, pagine che hanno il respiro anarchico e la sagacia critica del Professor Ludovico Marotta e di tutte le persone che animano quel “covo libertario” costituito dalla Libreria Marchesi. Un’opera che si porta dentro il dramma profondo di un Paese e di un popolo colpiti a morte ogniqualvolta sembrerebbero stringersi e farsi coraggio per reclamare il loro spazio e per prendere realmente coscienza di sé. Un libro attraversato però anche da Poesia e Profezia, soprattutto nei personaggi femminili che lo popolano e assolutamente mai da comprimari: l’elegante saggezza e l’orgogliosa fierezza della signora Silvana Marchesi, con il suo foulard di seta viola, lucida nel saper leggere oltre l’apparenza di uno sfogo dettato dalla frenesia delle circostanze e di cogliere il senso profondo delle parole; la toccante consapevolezza della madre di Gianni, poetica protagonista nel lasciarsi affascinare dalla lettura di Edgar Lee Masters e della sua coraggiosa “Antologia di Spoon River”,  profetica nel sottolineare i gesti consueti e sospesi del tempo di suo figlio Gianni che si volta verso le finestre chiuse dei palazzi e che cerca di cogliere con l’immaginazione l’unicità delle esistenze che si nascondono dietro di esse; la visionaria ed inquietante veggenza di Alejandra, “la Maga”, quasi ossessionata da Buenos Aires e da quella sua aurea mistica di Amore e Morte, dove il diffondersi della consueta malattia e la tragedia sembrano destinate a divenire ancora una volta un’esperienza collettiva. Queste figure femminili si stagliano letteralmente con sembianze da Sibilla… Sembrano quasi un respiro costante della Grande Madre che, qualsiasi cosa accada, resta sempre profondamente legata all’incedere ciclico ed ineluttabile della Vita e della Morte. Ma sono il ricordo e la memoria a costituire il cardine vero del libro: il persistere, prima di tutto, di quell’odore di polvere da sparo e di sangue che rimarrà sempre nelle narici e che, per dirla con le parole dello sfogo che il professor Marotta rivolge a don Carmelo, “sarà lo stesso odore che sentiremo ogni volta che si cercherà di cambiarlo veramente questo Paese”; la consapevole memoria di una scelta possibile, quella ad esempio delle prime comunità cristiane “nelle quali ogni individuo si prendeva cura dell’altro. Niente proprietà, nessun bisogno di controllo superiore. E libera scelta di adesione a un modo di vivere. Nessuna imposizione”. Ricorrendo ancora una volta alla forza immaginifica e sintetica del simbolo, l’anima di questa interessantissima proposta letteraria di Attilio Coco risiede tutta nei capelli di Camillo “di un grigio particolare sul quale sembra resistere ancora, pervicace e a dispetto di tutti gli anni passati, una traccia di colore più acceso”. Gianni e il suo amico d’infanzia “Diavolorosso” torneranno a condividere, ancora una volta, il loro sguardo vitale e critico sul modo circostante, ben oltre la drammatica scia di sangue che loro malgrado li ha sempre accompagnati, e a reclamare con maturata saggezza il proprio inestinguibile slancio libertario. Una lettura che non è davvero il caso di lasciarsi sfuggire e che merita occhi attenti e animo libero perché, oltre l’odore persistente della polvere da sparo, lascia in ogni caso percepire, anche nel grigio, “una traccia di colore più acceso”.

DAVIDE TOFFOLI e ELEONORA MOZZICONI

Attilio Coco