Dos poemas de Aitana Alberti

MATER DULCISSIMA

De nuevo nacer.
VIRGILIO PIÑERA

Anoche me llegaste madre no sé de qué lugar
tal vez de dentro de mí misma o de algún paraíso
donde las madres al fin hallan reposo

Eras una envolvente cercanía
un agua clara derramada sobre mi inquietud

Madre exacta destinada a mi solo tamaño
me descubriste mundos a tu justa medida
El halo de tus pasos ciñéndome abarcándome
irradia todos los posibles caminos

Anoche nuevamente fui la recién venida
que los astros te dieron
Qué descanso saberme pura inocencia deseada
Así madre en tu vientre quiero partir un día
He de llamarte entonces
Regresarás a mí para nacer mi muerte


_____________



CRÓNICA FAMILIAR

A Pablo Armando Fernández

Rodeada de mis perros estoy en el centro de la vida
Algunos me miran desde lejos con ojos de agua enamorada
otros en mi regazo ahuyentan sombras

Alrededor convergen corredores
donde padre camina devanando poemas
que espejos curvos repiten sin descanso
La palabra se nutre del silencio
absorbe todo el aire de mi entorno

En rincones oscuros madre dialoga con la Muerte
La Muerte tiene hambres inmortales
con ávidos engaños la devora
y madre al fin le entrega el pequeño esqueleto
sin que yo pueda hurtarle ni un ápice de espanto

Padre en tanto recurre al último exorcismo
porque nada es vedado
cuando la gloria toca sus clarines
Accede a paraísos o espejismos
que se disgregan en fugas apocalípticas
o lo mecen en sueños de eternidad

Madre nos deja para siempre su agonía en susurros
alza en vilo todos mis dolores
la siento recostada en mi cuerpo
dentro de mí ha tejido su capullo
con los hilos enmarañados que unen nuestras cabezas
Y juntas contemplamos desde la orilla desolada
un panorama extraño


Aitana Alberti, de Crónica Familiar, 2011

Agradecemos a la traductora italiana de Aitana Alberti, la profesora Carla Perugini, por enviarnos los poemas. Quien esté interesado puede encontrar una selección de textos traducidos en italiano en la antología recién publicada Abitare la solitudine, Edizioni ETS, Pisa, 2013.

Lingua madre e lingue nemiche

LINGUA MADRE E LINGUE NEMICHE

Silvia Audo Gianotti
Université de Grenoble

Nel 2004 la casa editrice svizzera Zoe pubblica L’Analphabète, racconto autobiografico che ripercorre in undici capitoli le immagini della memoria e del vissuto della scrittrice Agota Kristof. Nata nel 1935 a Csikvánd, paesino dell’Ungheria nord-occidentale dove trascorre un’infanzia felice, a quattro anni sa già
leggere correttamente e raccontare storie, fantastiche e paurose, che terrorizzano il fratellino Tila. Anche gli zigani che incontra nel villaggio fanno parte di questa dimensione immaginaria, extraterresti senza pianeta né patria che pronunciano suoni indecifrabili frutto di una lingua aliena. Ai suoi occhi il mondo ha l’aspetto della lingua materna, la lingua ungherese, capace di descrivere tutto ciò che la circonda mentre gli altri idiomi, che non hanno alcuna corrispondenza con essa, riproducono un universo irreale.

All’età di nove anni la famiglia si stabilisce in una città di frontiera dove un quarto della popolazione parla tedesco, idioma degli antichi dominatori austriaci e dei soldati che in quel momento invadono l’Ungheria. Agota si avvicina alla lingua seconda senza alcun entusiasmo né interesse con la collera di una giovane a cui si sta sottraendo l’identità. Poco tempo dopo l’Armata Rossa, salita al potere, mette in atto un “vrai sabotage intellectuel” (Kristof) sulla popolazione, esigendo il russo nelle scuole malgrado i professori non siano motivati ad insegnarlo né gli allievi ad apprenderlo. L’ungherese rappresenta il fattore di coesione sociale del popolo, imporre una lingua altra implica una trasformazione delle abitudini e del suo carattere sociolinguistico.

Disorientare la nazione, renderla muta, incapace di esprimersi perché possa essere docilmente governata, questo l’obbiettivo della sovietizzazione. Nei momenti di solitudine la scrittura diventa una compagna fedele che risveglia la sua anima assopita dal dominio comunista risolto a creare un “uomo nuovo”, rassegnato, ubbidiente e ridotto al non-pensiero.

Con la morte di Stalin e i primi segni del disgelo, nell’ottobre 1956 ha inizio una rivolta nelle vie di Budapest immediatamente repressa dalle truppe sovietiche. Numerosi ungheresi perdono la vita, altri, tra cui la Kristof, per non sottostare alla legge dell’occupante si rifugiano in Occidente. Un popolo senza futuro abbandona il paese dove ha vissuto troppo tempo confinato per scoprire il mondo occidentale e la libertà abolita dalla dittatura. Nel novembre di quello stesso anno con il marito e la loro neonata di quattro mesi attraversano la frontiera tra l’Ungheria e l’Austria fino a raggiungere la Svizzera. A vent’anni questo viaggio prende la forma di un’avventura come narrano i gemelli de Le Grand cahier (1986). Per l’autrice l’apprendimento del francese diventa la risposta ad un passato doloroso e la sfida alla sua libertà personale nonostante questo significhi ricreare la propria identità sottomettendola al sapere e alla lingua altrui. L’apertura sull’altro universo linguistico oltre a produrre una tensione tra identità reale e fittizia, scelta e imposta, mette in causa quello che va detto e taciuto nella creazione artistica privandola della spontaneità e dell’automatismo che le sono propri. Nei testi estraneità e ibridazione linguistica riflettono la sua condizione di espatriata. La semplicità di vocabolario e sintassi sono utili espedienti per evitare la soggettività e l’espressione dei sentimenti. Tutti gli artifici letterari vengono banditi come se di fronte alle sofferenze vissute solo il denudamento scritturale e il rifiuto di qualsiasi ridondanza stilistica fossero i più adeguati a riprodurre degli argomenti drammatici e crudelmente reali.

Quando la poesia nasce dall'arte

QUANDO LA POESIA NASCE DALL’ARTE
(Rosa Maria Lencero, "COMO AMANTES DE ETRURIA")

Eleonora Mozziconi
Davide Toffoli


"Como amantes de Etruria" è una silloge pubblicata nel 1991, nella Colección “Alcazaba” della Diputación Provincial de Badajoz; l’autrice è Rosa Maria Lencero, nata a La Nava de Santiago (Badajoz) nel 1960, considerata una delle più significative voci poetiche del dopoguerra in Estremadura, terra estrema, ma decisamente fertile di poeti. Il suo percorso artistico si muove tra poesia, prosa e soprattutto contaminazioni Como amantes de Etruria”.
culturali: con il gruppo flamenco “Familia Vargas” porta in scena lo spettacolo “Flamenco y Poesia”, tre brani del quale sono estratti appunto da “

La sua voce lirica, in questo volume che ne segna il passaggio ad una poesia più adulta e consapevole, è intrisa di grande musicalità e di versi che sanno modularsi alla perfezione sull’interiorità emotiva dell’autrice. “Como amantes de Etruria” nasce infatti dall’ispirazione fornita dall’elegantissimo “Sarcofago degli sposi”,
esposto nel museo etrusco di Villa Giulia a Roma, e presenta ambientazioni e paesaggi di derivazione classica, scegliendo come luogo privilegiato, come personale Eden, le atmosfere delle antiche genti della Tuscia, intrise di un senso della vita e della morte fuori dal comune.

Tra foglie di acanto, violacciocche, radici e verbene, quello che si delinea è soprattutto un paesaggio dell’anima, che evoca una storia che si nutre di umanissimi contrasti, Amore e Morte, vitalità estrema e preparazione mai rassegnata alla scomparsa, piante profumate e vive e vimini secchi e intrecciati. Molti sono gli animali che popolano i “quadri” disegnati dalla Lencero e si muovono con la tipica eleganza e leggiadria dei volatili: colombe, rondini, tortore e oropendole si alternano ad animali mitologici e nobilmente evocativi come la Fenice.

I suoi versi hanno il ritmo dell’attesa (“Yo espero. / Los naufragios. / Las ráfagas de dolor en el silencio. / Los duendes ciegos. / Las palomas que rompen espejos de sombras. / Sólo tú me atraviesas en la desdicha. / Acércate / y líbrame de la ilusión che me atraganta / de lluvias amargas / como saliva ausente de besos.”), la frenesia e il desiderio dell’amplesso (“Para gozarte, con alas talares llegaré / a ti, como a un nido de golondrinas enamoradas”), i sapori della frutta resi soavi, unici e speciali da uno stato di grazia (“Ven mi enamorado / ven y goza el sabor de las fresas / el zumo que destilo para tus vasos / ven que será mi boca para ti / de ananás fragrante y carnosa”).

È poesia del sentimento, dell’immagine, della visualizzazione emotiva e ricercata, ricca di metafore e fortemente evocativa (“Así será la memoria nuestra, / un crisol que alumbrará mansiones invisibles / a los ojos de los que no amaron / y perdieron en la vida el secreto de su existencia”). È attraversata dai profumi delle aromatiche: mirto, lavanda, salvia, timo bianco; ma anche da sentori decisi di muschio e di nardo. È poesia dell’Amore, vivo e vivificante nel suo legame privilegiato con la Natura e con il suo ciclico rinascere, ma al tempo stesso pervaso da un imprescindibile senso di Morte che, da semplice ed etrusco presagio, gradualmente tramuta in consapevole certezza e cruda realtà. I versi hanno la fragile precarietà dei sogni e del tempo che scorre inesorabile dentro una clessidra (“Qué minúscula e insignificante. / Qué pequeña y corta nos fían la vida, / Cuando te miro, pienso que la carne / es un reloj de arena. / Lástima de los sueños, hoy quimeras. / Crees que cuando la felicidad se anuda / en tu pañuelo, los pliegues podrá guardarla. / Qué cansada estoy, cómo me pesas en la calma / que gime agazapada en tu pecho, / me acuso de sobrevivir estallando agonía”). In estrema sintesi, un prezioso sguardo, femminile e salvifico, sul mondo.




Prémio Fernando Namora 2013

Um homem com uma boa história é quase um rei...1

Teoria Geral do Esquecimento de Agualusa vence Prémio Fernando Namora

Regina Célia Pereira da Silva
Università degli Studi l’Orientale di Napoli


Este ano o júri do Prémio Fernando Namora, instituído pelo grupo Estoril-Sol e na sua 16ª edição, extraíu o vencedor deste prémio entre um leque de 5 romances finalistas:

  • Jesus Cristo bebia cerveja de Afonso Cruz;
  • O rei do Monte Brasil de Ana Cristina Silva;
  • Metade Maior de Julieta Monginho;
  • Barro de Rui Nunes;
  • Teoria Geral do Esquecimento de José Eduardo Agualusa.
A escolha caíu neste último que é o vencedor do Prémo Literário Fernando Namora 2013.

O júri - constituído pelo autor Vasco Graça Moura como Presidente, integrou também Guilherme d`Oliveira Martins, do Centro Nacional de Cultura, José Manuel Mendes, da Associação Portuguesa de Escritores, Manuel Frias Martins, da Associação Portuguesa dos Críticos Literários, Maria Carlos Gil Loureiro, da Direção-Geral do Livro, dos Arquivos e das Bibliotecas, Maria Alzira Seixo, escritora, Liberto Cruz e ainda Nuno Lima de Carvalho e Dinis de Abreu do grupo Estoril Sol - privilegiou a linguagem e o estilo próprio da escritura de Agualusa que, pelas suas peculiares características .... reunem uma especial economia de efeitos.... onde a língua portuguesa fala em interceção com outros modos2 e sistemas.

José Eduardo Agualusa nasceu em Huambo, no planalto central de Angola, em 1960, é membro da União de Escritores Angolanos e estreou-se literariamente com A Conjura (1989) com o qual venceu o Prémio Sonangol. É autor de cerca de 25 títulos literários em prosa e poesia.

O espaço narrativo da Teoria Geral do Esquecimento, editado pela D. Quixote em 2012, localiza-se em Luanda (Angola), a acção começa no dia 11 de novembro de 1975, véspera da proclamação da independência. O romance percorre os acontecimentos da vida colectiva de Angola, desde a independência até á actualidade. Uma aveirense, Ludovica, agrega-se à sua irmã que tendo casado com um colono angolano viúvo, vai para Luanda. No momento da revolução Ludovica percebe que se encontra entregue a si própria, por isso, decide erguer um muro à frente da porta que a separa do edifício onde mora, acabando por sobreviver isolada durante cerca de 30 anos. Todos se esquecem de Ludovica: Os dias deslizam como se fossem líquidos. Não tenho mais cadernos onde escrever. Também não tenho mais canetas. Escrevo nas paredes, com pedaços de carvão, versos sucintos. Poupo na comida, na água, no fogo e nos adjetivos.

A magia, a imaginação e a ironia típicos da escritura de Agualusa são características que acompanham o desenvolver-se do romance. Cada episódio ou acontecimento adquirem sentido quando encaixados nos factos seguintes, relendo de forma original a revolução e a viragem ideológica do poder instalado em Angola.

O estilo da escritura do autor é acompanhado por um humorismo que tem a função de atenuar a narração da história trágica de Angola, a descoberta de temer o outro, o de mim diferente. É pois, um texto que apresenta como pano de fundo quer a xenofobia, o racismo, quer o amor e a piedade.

1 Agualusa, Teoria Geral do Esquecimento, Lisboa, D. Quixote, 2012, p. 157.
2 Frase extrapolada da acta escrita pelo júri do Prémio Fernando Namora de 2013.

Los inicios de la literatura catalana y sus relaciones culturales con la tradición hispánica

LOS INICIOS DE LA LITERATURA CATALANA Y SUS RELACIONES CULTURALES CON LA TRADICIÓN HISPÁNICA

por Òscar O. Santos-Sopena
Member-Contributor of the North American Academy of the Spanish Language (ANLE)
Assistant Professor of Spanish and Comparative Literatures
Department of English, Philosophy and Modern Languages - West Texas A&M University
http://www.about.me/oscarsantossopena

Comité de Redacción Quaderni Ibero Americani - Coordinador del blog DUENDEQUADERNI
http://www.quaderniberoamericani.org/comite-editorial
http://duendequaderni.blogspot.it/


En la primera mitad del siglo XII aparece un fragmento de una traducción del código de leyes visigóticas titulado Forum Iudicum. Éste junto a Les Homilies d’Organyà, un sermón con glosas fechado a finales del siglo XII, se convierten en los dos primeros textos encontrados en lengua catalana.

El catalán se convierte en lengua literaria, igual que su cultura en un elemento a expandir por los territorios del mar Mediterráneo. Llega a esta literatura la prosa histórica medieval con la figura de Jaime I “El Conquistador” (1208-1276) y su obra: Llibre del Feyts (1327). Primero, por la innovación en género y estilo que suponen estos orígenes y este texto de carácter autobiográfico. Segundo, por la formación de una nueva perspectiva europea que ofrece una nueva conexión occidental y la introducción de las corrientes del momento.

En este contexto surge uno de mis últimos proyectos: Monzón como emblema cultural (2011-12). Un video documental que traza las relaciones culturales, artísticas e históricas existentes entre dos de las literaturas mediterráneas-europeas más importantes: la hispánica y la catalana. Ambas culturas se nutren, la una de la otra, durante la Edad Media y el Renacimiento para crear figuras híbridas y pluriculturales como es el caso del monarca aragonés. Con este proyecto pretendemos ver las correspondencias existentes entre ambas culturas y literaturas, y ver cómo aparecen personajes y autores históricos que sirven de puente y diálogo. La ciudad de Monzón, en Aragón a penas 20 minutos de la frontera con la región catalana, es un ejemplo esencial de sincretismo cultural. Nuestra investigación se basa en la imagen que muestra el paso del rey aragonés por el bastión de Monzón. Gracias a la iconografía del castillo y a una serie de entrevistas se proporciona una visión única, innovadora y diferente de la ciudad y el castillo de Monzón, de la importancia y la trascendencia de la región del Cinca Medio y, por último, el vínculo existente entre la cultura catalana e hispánica.

A su vez esta investigación proporciona un nuevo debate sobre la conexión y diálogo entre lugares, personajes y acontecimientos históricos. Con este estudio cuestiono algunos de los planteamientos que muestran el olvido del castillo de Monzón en la Corona de Aragón. Mostrando por medio de este documental, y con su estudio-guía de visionado, el papel crucial de esta zona de la provincia de Huesca para la Corona de Aragón. Un lugar para no olvidar.

(Extracto del Proyecto Documental – Monzón como emblema cultural)

Para más información del proyecto documental consultar:
http://monzonjaimeconquistador.tumblr.com/post/14711227150/monzon-la-ciudad-que-impacto-en-la-formacion-de

Monzón la ciudad que impactó en la formación de Jaime I.


Video-Documental sobre Jaime I y su paso por la ciudad de Monzón. Versión educativa. Guía Visionado.
http://www.cehimo.com



Lusofonia ou lusofilia?

Lusofonia ou lusofilia?

Regina Célia Pereira da Silva
Università degli Studi l’Orientale di Napoli

Nos passados dias 23 e 24 de setembro realizou-se, em Lisboa, um simpósio internacional no âmbito das celebrações do Ano Portugal-Brasil/Brasil-Portugal que reuniu vários investigadores e especialistas da lusofonia: académicos, estudiosos, escritores, tradutores e artistas provenientes da Europa, África e América. Este encontro, foi organizado pela Universidade ILusófona – Instituto de Línguas da Universidade Lusófona e Conselho Superior Académico do Grupo Lusófona de Lisboa.

A complexidade das temáticas abordadas contribuiu, sem dúvida, para uma profunda reflexão sobre o conceito de lusofonia, visto que, falar hoje de Lusofonia significa escancarar uma janela sobre o mundo, por vezes desconhecido. De facto, é necessário libertar a mente de preconceitos, ideias e noções preestabelecidas e confecionadas de modo a penetrar de forma completa e transparente no ‘outro’ para poder penetrar no estudo profundo de tal conceito. Além disso, lusofonia é sinónimo de multidisciplinaridade, campo de pesquisa que pretende conquistar um lugar e visibilidade na vida e estudos linguísticos, históricos, antropológicos e socio-culturais contemporâneos. Trata-se de uma questão transversal a todos os países onde a presença lusa se fez e faz sentir, (positiva ou negativamente).

A palavra lusofonia, começou por ser relacionada com a língua ou com o espaço onde se falava ou fala português. Tal conceito, no entanto, não pode ser destacado daquela carga messiânica de que se encontra impregnado e que, de certa forma, ajuda os portugueses a sentirem-se cidadãos do mundo. A lusofonia resulta da expansão portuguesa e, de tudo o que ela implicou, no mundo, por isso, aparentemente garante um futuro, róseo ou não, aos portugueses. Neste sentido, os novos estudos procuram esclarecer e dissimular os factos do passado sem eliminar absolutamente os traços deixados nos séculos.

Este ano realizamos um Clube de Leitura Latino-americano e Portoghese, na Biblioteca Nazionale di Napoli cuja finalidade era exactamente “Ler Lusófilo”. Estes encontros mensais, iniciaram com a leitura de um autor lusitano – José Saramago, passando por um angolano – José Eduardo Agualusa e um brasileiro – Jorge Amado, enriquecendo a bagagem cultural de todos aqueles que participaram.

Após a minha recente participação no colóquio de estudo ‘Pós-lusofonia: línguas, literaturas e identidades’, é impossível não recordar aqui uma interessante conversação tida com o jornalista e escritor Pedro Rosa Mendes, em Nápoles. Falava-se sobre a questão da presença dos portugueses em países orientais, mas onde a colonização e o império não se implataram ou simplesmente não existiram (é o caso do Japão, Vietname, Camboja, entre outros). Apesar disso, a influência da cultura, língua e mentalidade lusitanas é evidente ainda hoje e pode ser identificada, deixando traços nas culturas locais. È neste sentido, que pensamos que o conceito de lusofonia poderá dar lugar ao de lusofilia, isto é, tudo aquilo que - diz; lembra; é; se refere; identifica; é raiz - do sistema socio-cultural português (país de partida) e faz parte dos sistemas culturais ou linguísticos dos países de chegada. Sementes de portugalidade positivas ou não. Cripto-lusophilias!

Estas, são apenas algumas linhas de reflexão que abrem um amplo horizonte de discussão e que alargam a curiosidade dos leitores e as fronteiras da investigação científica no âmbito dos estudos portugueses e lusofónos.


Esta reflexão fez nascer em mim o seguinte poema:



Cripto-lusophilias


Alma generosa
desabrocha colorida
do profundo de uma rosa
e procura incansável, alegria.

Parte numa caravela
num oceano desconhecido e agitado
apesar do nevoeiro, ela
entrevê terra. O lugar sonhado.

Ancorada a nau
desembarca e entra em relação
enriquece-se. Senta-se num calhau
e deixa-se deslizar por entre a multidão.

Rostos diferentes! Observa.
Cores garridas, vestidos originais.
Idiomas variados, objectos tradicionais...
Lindo de morrer. Cultura nova.

Passam horas, dias, anos. Vida.
Dar, conceder, deixar, perder
alma vazia, completamente absorvida
débil, oca sente que vai desaparecer.

Estende-se o mar
para além ds fronteiras
une sem conformar
as diversas culturas.

Renasce a alma na multicultura
nem tétum, quimbundo, guarani, tupi ou lusitano
nem sequer crioulo, goês, malaio, javanês ou indonesiano.
Alma lusa ou lusophilia pura?




Las mañas del amor

LAS MAÑAS DEL AMOR: FLORENCIA PINAR

Isabel Navas Ocaña
Universidad de Almería


Apenas siete canciones, todas de temática amorosa, le han valido a Florencia Pinar el honor de ser considerada una de las voces femeninas más relevantes de la literatura medieval castellana. Estas canciones tienen la singularidad de mostrar a una mujer que sufre por amor frente a la imagen tópica de la dama fría y cruel propia de la poesía cancioneril, como se puede apreciar en «El amor ha tales mañas» y en «Destas aves su nación»1, quizás los dos poemas más célebres de Pinar, o al menos los que han generado más controversia en la crítica. La interpretación que el ilustre medievalista Alan D. Deyermond hizo de ellos en 1978 ha sido hasta la fecha la más influyente y también la más contestada por algunos sectores del feminismo. Deyermond recurre a la imagen de la perdiz atormentada por el deseo sexual, frecuente en los bestiarios medievales, para hablar de la sexualidad reprimida de Pinar, y corrobora esta idea con la explicación de la imagen del gusano, presente en «El amor ha tales mañas», como un símbolo fálico2. Poco tiempo después, y de acuerdo con la línea interpretativa abierta por Deyermond, Keith Whinnon refutará uno de los tópicos más extendidos sobre la lírica cancioneril: el carácter platónico del amor cortés. Para Whinnom, se trata en contrapartida de una «poesía cargada de un velado y ambiguo erotismo», como prueban los textos de Florencia Pinar y también los de Diego de San Pedro, otro señero representante del género3. Ahora bien, a diferencia de lo que sucede habitualmente en los poetas varones, en las canciones de Florencia Pinar no se elogia al amado ni el amor es exaltado, sino que causa enfermedad y muerte. Y además, frente a la abstracción de la poesía cancioneril masculina, la imaginería relacionada con animales que utiliza Pinar es extraordinariamente concreta y gráfica. Joseph Snow, que es quien defiende este punto de vista, enfatiza así la capacidad de subversión de las convenciones poéticas de su tiempo, y pone de manifiesto la contribución única de Florencia Pinar a la lírica medieval hispánica4.

Pero las tesis de Deyermond, Whinnon y Snow tuvieron también muy pronto detractores. Los primeros que las rebatieron fueron Kate Flores y Ángel Flores, para quienes las perdices no son el símbolo de un deseo sexual reprimido sino de un reprimido deseo de libertad5. Da comienzo así una intensa ofensiva por parte de la crítica feminista, ofensiva que tiene como protagonistas a Bárbara Fulks y Constance L. Wilkins6. Las dos coinciden con los Flores en explicar la imagen de las perdices cautivas como una alegoría de la falta de libertad femenina. Y además las dos se desmarcan de la interpretación del gusano como símbolo fálico. El gusano simplemente encarnaría el amor entendido como una fuerza devastadora que debe ser evitada. Prevenir a otras mujeres contra la naturaleza engañosa y dañina del amor es, según Fulks y Wilkins, el principal objetivo de Florencia Pinar. Poco tiempo después, Louise Mirrer se replantea desde un punto de vista feminista el significado sexual de las perdices y acepta por fin la posibilidad de que Pinar las utilice para expresar su deseo. Ahora bien, «si el poema verdaderamente trata del deseo sexual de la mujer, como sugiere Deyermond, no es sin duda el mismo concepto de deseo femenino tratado en la literatura amorosa creada por hombres y comprendido en la transparentemente masculinista ilustración del bestiario de cómo las perdices hembras obtienen satisfacción sexual», sino que en este poema «la mujer (…) quiere ser el sujeto deseante»7. De esta forma, Mirrer consigue adaptar a los intereses del feminismo la controvertida interpretación de Deyermond.

Sea como fuere, los dos poemas que siguen, «El amor ha tales mañas» y «Destas aves su nación», han convertido a Florencia Pinar en una de las poetas más interesantes de la lírica medieval castellana, gracias sobre todo a una muy peculiar manera de definir el amor, de mostrar sus mañas, sus prisiones:


Ell amor ha tales mañas
que quien no se guarda dellas,
si se l’entra en las entrañas,
no puede salir sin ellas
.

Ell amor es un gusano,
bien mirada su figura:
es un cáncer de natura
que come todo lo sano.
Por sus burlas, por sus sañas,
dél se dan tales querellas
que, si entra en las entrañas,
no puede salir sin ellas
.



Destas aves su nación
es contar con alegría,
y de vellas en prisión
siento yo grave pasión,
sin sentir nadie a mía
.
Ellas lloran que se vieron
sin temor de ser cativas,
y a quien eran más esquivas
esos mismos las prendieron.
Sus nombres mi vida son
que va perdiendo alegría,
y de vellas en prisión
siento yo grave pasión,
sin sentir nadie a mía
.8


____________________________

1 Mary K. Mosley, Women in Fifteenth Century Cancioneros, University of Missouri-Columbia, Tesis Doctoral, Ann Arbor, Michigan, 1977, p. 104.
2 Alan D. Deyermond, «The Worm and Pastridge: Reflections on the Poetry of Florencia Pinar», Mester, Universidad de California, Los Ángeles, VII, 1 y 2, 1978, pp. 3-8.
3 Keith Whinnon, La poesía amatoria cancioneril en la época de los Reyes Católicos, Durham, University of Durham, 1981, p. 88.
4 Joseph Snow, «The Spanish Love Poet Florencia Pinar», in Aa.Vv., Medieval Women Writers, editado por K. M. Wilson, Athens, University of Georgia Press, 1984, pp. 320-332.
5 Kate Flores y Ángel Flores incluyeron a Florencia Pinar en su antología Poesía feminista del mundo hispánico (México, siglo XXI, 1984, pp. 53-54), y en la versión inglesa de dicha antología, titulada The Defiant Muse. Hispanic Feminist Poems from the Middle Ages to the Present (New York: The Feminist Press at the City University of New York 1986, pp. 17-18). Es en esta versión inglesa donde rebaten las opiniones de Deyermond.
6 Barbara Fulks, «The Poet Named Florencia Pinar», La Corónica, University of Illinois, 18, 1, 1989, pp. 33-44. Constance L. Wilkins, «Las voces de Florencia Pinar», in AaVv., Studia Hispanica Medievalia II: III Jornadas de Literatura Española Medieval, coordinado por Rosa E. Penna y María A. Rosarossa, Buenos Aires, Universidad Católica de Argentina, Editorial Ergon, 1990, pp. 124-130.
7 Louise Mirrer, «Género, poder y lengua en los poemas de Florencia Pinar», Medievalia, México, nº 19, 1995, p. 12
8 El poema está precedido de la siguiente rúbrica: «Otra canción de la misma señora a unas perdices que le enviaron vivas».

Um estranho em Goa de Agualusa

Um estranho em Goa de Agualusa
- Nova literatura lusófona –


Regina Célia Pereira da Silva
Università degli Studi di Napoli l’Orientale


Em Itália pouco se taduziu e portanto pouco se conhece da obra literária do genial escritor angolano José Eduardo Agualusa. Não é nossa intenção fazê-lo aqui mas é um objetivo que faz parte de um projeto maior e que se desenvolverá no futuro. Agora queremos apenas despertar a curiosidade do leitor para as obras deste autor de língua portuguesa.

Em 2000, foi editado em Lisboa, pelas Edições Cotovia, o romance de Agualusa Um estranho em Goa, o qual suscitou muitas considerações literárias positivas. Trata-se de um livro que combina muito bem o elemento exótico e oriental com a literatura de viagens criando um contexto específico onde se desenvolve o enredo da história que enlaça Goa e Luanda com Lisboa e Rio de Janeiro. O narrador, omnipresente na história, coincide com o autor e relaciona-se com as várias personagens. Uma destas, por exemplo, é o diabo que aparece inúmeras vezes disfarçado sob diversos nomes e identidades. A causa desta viagem a Goa de Agualusa encontra-se no facto de ele estar à procura de uma personagem angolana refugiada em Goa, personagem essa que curiosamente se chama Plácido Domingo (um valore aggiunto que contribui para a beleza e originalidade da história), que participou na guerra contra Portugal, e que fugiu para a Índia por estranhos motivos que aparecem ciclicamente nas várias etapas do livro. Com o seu estilo elegante, poético e leve, cheio de odores, cores e amores o autor faz viajar o leitor através das suas palavras.

Esta viagem, única e exótica, mistura a realidade com a ficção, o mistério com o oculto. A Goa de Agualusa exprime diversos sentimentos e emoções que desenham uma nova pátria, imaginária, mas onde todos aqueles que falam português se reconhecem. Um estranho em Goa é a história de uma viagem, mas sobretudo uma viagem interior, que dá que pensar e que revela qual é a Goa de hoje. Agualusa desvenda a identidade pós-colonial de Goa. Vários locais que faziam parte do império português parecem convergir para Goa, através das próprias personagens que Agualusa vai encontrando e que, de uma maneira ou de outra, têm ligações com Portugal ou com Angola, ou ainda com outras partes do antigo império. Este romance serve para reflectir sobre o colonialismo português e a actual situação das ex-colónias.


Sobre la ciudad en La naturaleza de las penas


Sobre la ciudad en La naturaleza de las penas (Seix Barral, 2012)

Por Luis Fernando Charry


He vivido la mayor parte de mi vida en Bogotá, pero también he vivido en ciudades tan disímiles como Londres, Santiago de Chile o Washington, DC. En todas me he sentido (un privilegio más de mi inestabilidad mental) como un extranjero, sobre todo en Bogotá, la ciudad gris y lluviosa donde transcurre mi última novela. Sin embargo, no creo que esa Bogotá novelada coincida con la Bogotá real: si coincidiera sería sin duda un efecto de mis muchas noches de desvelos (o de sueños con pesadillas no del todo placenteras). En cualquier caso, Bogotá (la ciudad novelada o real) ha sido la ciudad donde me he sentido fundamentalmente extranjero, sin rumbo y perdido, y eso se refleja en la esencia de algunos personajes de mi novela.

Freud decía (pero ya se sabe que no hay que creer en Freud al pie de la letra) que eso de nacer en lugar determinado es solo una fatalidad biológica contra la que es inútil luchar. Esta condición del extranjero (que por lo demás padecen varios de mis personajes) es bastante democrática, ya que no hay una diferencia a la hora de nacer en Bogotá, París o Nueva York: siempre habrá un rechazo permanente contra la ciudad donde se ha nacido, una suerte de negación, un querer irse casi constante, con la rara certeza de que pasará mucho tiempo antes de que aparezca el lugar adecuado –si es que un verdadero extranjero puede darse el lujo de hablar de lugares adecuados. En síntesis: esta condición del extranjero, que es la condición de no pertenecer, está incrustada en mi novela como una noche más de pesadillas y desvelos.

Piensen en ejemplos literarios y artísticos relacionados con la ciudad: siempre la ciudad y las artes han estado muy vinculadas. ¿Pueden nombrar algunos ejemplos y comentarlos?



Luis Fernando Charry (Bogotá, 1976) estudió periodismo y su tesis de grado fue sobre el escritor Osvaldo Soriano. Es autor de las novelas Alford (Planeta, 2002), Los niños suicidas (Villegas Editores, 2004), Ruinas familiares (Grupo Editorial Norma, 2010) y La naturaleza de las penas (Seix Barral, 2012). Uno de sus relatos hace parte de Fricciones urbanas (Planeta, 2004). Tiene un libro de cuentos titulado La furia de los elementos (Villegas Editores, 2006), elogiado por Enrique Vila-Matas. Participó en Palabra capital: Bogotá develada (Mondadori, 2007), la antología Calibre 39 (Villegas Editores, 2007); con el libro Las tardes obtuvo el Premio Nacional de Poesía Obra Inédita en 2008. Es nieto del destacado poeta de la generación de Mito Fernando Charry Lara.

En la actualidad es colaborador de las revistas Cambio y Voz a voz. Vive en Washington, DC y realiza estudios de doctorado en la Universidad de Maryland.

La escritura y la vida

Con el Poema XXIX de “Resurrecciones”, acompañado de su traducción inédita al inglés por Curtis Bauer, va mi sugerencia para el tema de este mes: “La escritura y la vida”. ¿Son lo mismo? ¿Son diferentes? ¿Se alimentan una de la otra o son dos conceptos excluyentes?
- José de María Romero Barea


De Resurrecciones (Asociación Cultura y Progreso, 2011)

XXIX

No es que no sea consciente de que
he dedicado las mejores
horas del día a juntar las doscientas o
trescientas palabras que al ser
humano han sido concedidas,
los minutos hurtados
al sueño o al trabajo
ajustando los ecos
a la memoria, adjetivos que acuden
cansados a este cansancio del arte
y se humillan a una idea original
que casi siempre es de otro
y que éste, para colmo, ha formulado
mejor que nosotros.
                               Soy más
que consciente que he dedicado
a todo esto lo mejor del día, a esta
triste salud de estar cansado
de las palabras, esas
blancas y dóciles ovejas
que vienen a escuchar
las dulces quejas del pastor, tan blancas,
tan dóciles que dan
ganas de saltarlas, o contarlas, o
echarse a dormir un rato junto a ellas.

                       José de María Romero Barea


XXIX

It is not that I am unaware that
I have spent the best
hours of the day collecting the two hundred
or three hundred words human
beings have been granted,
minutes stolen from
sleep or work
adjusting the echoes
to memory, adjectives that come
tired to this wariness of art
and humiliate an original idea
that is almost always someone else’s
who, to make matters worse, has said it
better than us.
                       I am more
than aware that I have dedicated
to all of this the best of the day, to this
sad health of being tired
of words, these
white and docile sheep
that come to hear
the gentle complaints of the shepherd, so white,
so docile that they make you want
to jump on them or count them, or
lie down to sleep for a while next to them.

                       Translations by Curtis Bauer

Suplemento Virtual N. 5

Ya tenemos el quinto número de nuestro Suplemento Virtual, El Duende: lo podéis encontrar en nuestra página web, www.quaderniberoamericani.org. Es un número dedicado al nuevo movimiento literario español del “Humanismo Solidario”.

Para recibir nuestros Suplementos por correo electrónico, es necesario escribir a qia@libero.it.


El Duende 5 – “Humanismo Solidario”


¡Bienvenidos!

Bienvenidos a todos,
a partir de ahora aparecerán aquí en nuestro blog noticias y reflexiones literarias relacionadas con nuestra revista. El blog contará con la colaboración de hispanistas y escritores internacionales, a los que todos podrán contestar con comentarios y sugerencias. Esperamos vuestras intervenciones para que este lugar virtual se vuelva ocasión para intercambiar ideas y para establecer un contacto entre la redacción y los lectores.
Para empezar os proponemos el primer tema de debate: el amor en todas sus facetas, entendido como sentimiento universal no sólo hacia la persona amada, sino también hacia la vida misma, como emoción que hace que ésta sea bonita a pesar de las dificultades que nos esperan cada día detrás de la esquina. Acerca de este tema os ofrecemos unos versos sugerentes que proceden del Manual para enamorar princesas, del profesor José María Paz Gago de la Universidad de la Coruña, cuya traducción acaba de salir en el cuarto volumen de la colección El Duende de nuestra revista:
Sin ti,
Venecia no es Venecia,
es una República ignorada,
un laberinto de llamadas perdidas,
sin respuesta.

¿Qué implica la presencia de la persona amada? ¿Cómo este sentimiento cambia la percepción de la realidad que nos rodea?
La principal tarea de la poesía es evocar preguntas acerca de la existencia; nuestro blog os da el espacio para que, si queréis, compartáis con nosotros vuestras respuestas personales.
Hasta pronto,
La redacción