Domenico Cacopardo. Il Delitto dell'Immacolata

di Ivan Fassio


Il Delitto dell'Immacolata di Domenico Cacopardo è ambientato nelle terre di origine del padre dell'autore, tra Messina e Letojanni, nel 1977. Il racconto, narrato in prima persona del protagonista Filippo Solimèni fino ad un inaspettato colpo di scena finale in uno degli ultimi capitoli, si articola su uno sfondo di rappresentazione socio-culturale della Sicilia Anni Sessanta. Sono tanti i riferimenti alla tradizione familiare e gastronomica e alla dialettica tra emancipazione femminile e retaggi della cultura cattolica e dell'ipocrisia provinciale. Proprio in questo senso, l'ambientazione del romanzo è organizzata in modo sentito, con divertite allusioni alla realtà storica.
All'inizio dei fatti, il personaggio principale – Filippo, detto Lollo - è uno studente di giurisprudenza al secondo anno di Università. 
Lollo viene condotto in caserma all'alba del 4 marzo 1977 e interrogato sulla morte di Immacolata Pianuzza in Barbalonga Chirò, la vicina di casa assassinata nella tarda serata dell'8 dicembre 1976, festa dell'Immacolata Concezione. La donna era stata la sua prima amante. Ascoltata la deposizione del giovane, la dottoressa Adele Piraino Limongi, sostituto procuratore, lo arresta e lo rinchiude in carcere. Fabrizio Prisicianotto, penalista di Messina, viene incaricato della difesa e la delega in gran parte al giovane praticante Italo Agrò, suo sostituto e cugino dell'indagato. Qualche tempo dopo, l'imputato viene considerato estraneo al delitto e rilasciato. La sua situazione si complica a causa dell'omicidio di un'altra ragazza, possibile testimone del primo omicidio e seconda amante di Lollo. Anche questa volta, i Carabinieri arrestano il protagonista, ma sono costretti a rimetterlo in libertà per una testimonianza. Il romanzo si chiude con lo svelamento della reale colpa del protagonista, con le ragioni reali della scrittura del romanzo in un flashback rivelatore e con la scomoda presa di coscienza dell'inevitabile iterazione del delitto. Il detto Argentino riportato in calce sul finale “Herba mala nunca muere” conclude con una punta di amarezza una narrazione veloce, che coinvolge empaticamente il lettore nelle vicende del protagonista. Divagazioni in chiave erotica, scanzonate descrizioni di tic individuali e sociali arricchiscono con ironia il dettato scorrevole della scrittura di Domenico Cacopardo.

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