(Pilar Fernández “RETORNO A LA CIUDAD DE LOS ESPEJOS”)
Eleonora Mozziconi
Davide Toffoli
Davide Toffoli

È una poesia composta da scatti rapidi e fuggenti, da brevi frammenti assolutamente privi di rime e punteggiatura, ma intrisi di profondo e puro lirismo (“Surges bella y ociosa / sembrada de farolas / ciudad de tanta muerte / en tu verdes pupilas un esplendor de estatuas”). I versi sono sempre carichi di colori (“Lagos de piedra blanca detenida en el tiempo”; “Por un mar de olas rojas y dragones suicidas” (…) “al timón horizonte de luz rubio esmeralda”), spesso concentrati su giochi e su effetti di luce (“En la ciudad dormida / de dorados tranvías y palomas oscuras / buscábamos un cielo más puro de luciérnagas / un mar de carabelas azules y astrolabios”; “…es como una caricia de sal / un blanco lienzo / que la lluvia oscurece”), con atmosfere che prediligono situazioni di crepuscolo, di penombre o di passaggio (“La ciudad nos habita / con la caricia blanca y azul de sus almenas / laberinto en penumbra”; “Partieron una tarde con la luz del crepúscolo / hacia tierras dormidas”).

La poetessa si lascia sedurre da un’intrigante “fascinazione del confine”, preferendo atmosfere di nebbia o penombra, immagini quasi mai dirette, che vivono piuttosto nei rimandi di esse che derivano dagli ambienti circostanti e che parrebbero sottolineare l’irremovibile sacralità di ogni punto di vista, seppur conservando l’indiscutibile centralità dell’io. Il profondo senso di mistero, che caratterizza i suoi versi, si addensa soprattutto nelle linee di confine e nei luoghi di incontro, proponendo di volta in volta simboli diversi quali l’orizzonte, una riva bagnata dalle acque, una barca che smuove il mare calmo lasciando una scia di spuma come sottile traccia (“adivina si puedes la linea misteriosa / entre il cielo y el mar / dos paraísos iguales”; “Las olas no saben de amor / y te buscan / fragrantes y rubias ascende tus muslos / cuando indiferente paseas por la orilla / ajeno a su ritmo / de lentas caricias”).

Tuttavia, il vitalissimo viaggio delle liriche vede apparire ossimoriche presenze di morte che rimandano ad una sorta di “paradosso dell’amore” (“Tus palabras / me cubren de lenta muerte dulce / paisaje devorado por tiernos escorpiones / golondrina de sangre y harapientas estrellas / infierno donde oculta sus dardos / la locura”); la raccolta si chiude proprio sotto questo segno, all’apice del viaggio, con la lirica “Cénit” (“Como un lento cadáver / que caminara a ciegas / que dijese calabra vacías / y sintiera como la sangre ardiente / deserta sus arterias / tu ausencia”).
La “Città degli Specchi” di Pilar Fernández è un suggestivo labirinto in cui, da lettori, vale di certo la pena perdersi.