(Federico
Garcia Lorca “LIBRI, LIBRI!”; discorso al paese di Fuente
Vaqueros)
Eleonora Mozziconi
Davide Toffoli
Libri,
Libri! è
una snella e interessantissima pubblicazione del 2014, curata e
tradotta da Lucilio Santoni per le Edizioni Estemporanee (Collana
Azulejos), impreziosito dalle simpatiche illustrazioni di Marina
Rivera: il Discorso
al paese di Fuente Vaqueros, che
Federico García Lorca lesse a voce alta, davanti ai propri
concittadini, in occasione dell’inaugurazione della biblioteca
comunale del proprio paese natale, viene pubblicato già nel 1986 in
Spagna. Proviene dall’Archivio García Lorca e risale ai primissimi
giorni del settembre 1931: uno dei più importanti poeti e
drammaturghi spagnoli del Novecento, morto fucilato dai Franchisti
all’inizio della Guerra Civile a causa delle sue posizioni
apertamente repubblicane, regala un testo appassionato e
coinvolgente, che va ben oltre un semplice intervento di
rappresentanza e che si pone, prima di tutto, come grandissima
dichiarazione d’amore per un paese, per la terra andalusa, per le
persone che la abitano. Proprio a questi il poeta riconosce un innato
senso artistico, una propensione verso l’allegria, un gusto sottile
per la vita. Fuente Vaqueros aspira all’arte, all’amore, alla
bellezza e alla cultura, è abitata e vissuta da uomini ben lungi
dall’essere schiavi della morte. L’orgoglio del poeta è quello
di poter vivere da protagonista l’inaugurazione della prima
biblioteca in tutta la provincia di Granada, soprattutto perché “è
giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto
giusto che tutti gli uomini abbiano accesso al sapere.
Che tutti
possano godere i frutti dello spirito umano, poiché il contrario
significa trasformarli in macchine a servizio dello stato, significa
trasformarli in schiavi di una terribile organizzazione sociale”.
I
libri, nello
sguardo lucido e puntuale di García Lorca, sono “Testi sacri” per
eccellenza, cuore pulsante delle religioni, anima e spunto per le
rivoluzioni, metronomi della storia. Scrive Lucilio Santoni nella sua
Postfazione: “Ogni
parola trasuda amore per la cultura e per i libri che ne
costituiscono l’anima più profonda. Una fiducia totale verso un
umanesimo dello spirito”.
Il poeta regala un excursus colto e lungimirante, che chiama volta
per volta in causa personaggi come Gutemberg, Lenin, Alberto Magno, i
monaci medievali, il greco Esiodo, sempre per sottolineare come
l’invenzione della stampa abbia avuto “effetti
ben più rivoluzionari di altri grandi fatti accaduti nella stessa
epoca, come l’invenzione della polvere da sparo e la scoperta
dell’America”.
Una rivoluzione lenta e inesorabile: “Gli
antichi monasteri salvarono l’umanità. Tutta la cultura e il
sapere si rifugiarono nei chiostri, dove alcuni uomini di estrema
saggezza e semplicità, senza alcun fanatismo né intolleranza,
custodirono e studiarono le grandi opere imprescindibili per
l’umanità”. Contro i libri, nell’analisi del poeta, non valgono persecuzioni.
Non possono nulla né gli eserciti, né l’oro, né tantomeno le
fiamme: “Voi
potete far sparire un’opera, ma non potete tagliare la testa a
tutti coloro che se ne sono nutriti!”. I libri sono forse i più potenti operatori sociali, diffondono
idee, le rendono accessibili a molti, si propongono come preziosa
scintilla. Soprattutto chi non ha mezzi è importante che si nutra di
libri, perché il sapere e la curiosità sono contagiosi. Se andiamo
a mettere a confronto il Cantico
spirituale di San Juan De La Cruz, i libri di Tolstoj, La
città di Dio di Sant’Agostino, lo Zarathustra di Nietzsche, Il
Capitale di Marx, non possiamo non condividere l’asserto di García Lorca, il
quale sostiene che tutte queste opere concordano in un punto: l’amore
per l’umanità e l’innalzamento dello spirito. Esse si confondono
e si abbracciano in un ideale supremo. Nell’epoca del dissolvimento
delle classi sociali, secondo il poeta, sono necessari spirito di
sacrificio e abnegazione da parte di tutti, per sostenere l’unica
vera salvezza dei popoli, rappresentata appunto dalla cultura.
Il
testo, a leggerlo bene, nelle sue 30 pagine scarse risulta intriso di
poesia, sospeso quasi incoscientemente tra speranza ed utopia, ed è
capace di regalare passaggi delicatissimi ed interamente proiettati
verso il futuro: “Sono
sicuro che Fuente Vaqueros, paese che ha sempre posseduto una vivace
immaginazione e un’anima pura e allegra come l’acqua che sgorga
dalla sua fonte, si gioverà molto di questa biblioteca, la quale
porterà nella coscienza di tutti nuovi aneliti e gusto per la
conoscenza”. La
chiusa, infine, non è che l’ennesima dichiarazione d’amore
rivolta ad una terra che ha, in maniera consapevole, scelto di
investire su una direzione precisa, quella della crescita culturale e
della conquista sociale e le parole di García Lorca, ancora una
volta, suonano come il più bello degli auguri: “Che
la biblioteca, in questo bellissimo paese dove ho avuto l’onore di
nascere, serva a far regnare la pace, l’inquietudine spirituale e
l’allegria. E non dimenticate il sottile proverbio scritto da un
critico francese del diciannovesimo secolo: dimmi cosa leggi e ti
dirò chi sei”.
Qualcuno
sostiene che chi vive con l’utopia nel cuore è un bambino che non
vuole crescere, mentre invece bisogna diventare adulti, fare affari,
credere fermamente in una crescita infinita in un pianeta finito e
soprattutto, per dirla con le mirate parole del curatore, “riempire
il vuoto dell’esistenza con lo sfavillìo della merce accumulata a
dismisura”.
Tra l’utopia della cultura e quella della merce e del mercato a noi
piace credere fermamente nella prima, come l’intramontabile
Federico García Lorca.
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